Muranology, il primo glossario on line su Murano: Lettera E e F
“E” come Ercole Barovier, “F” come Formula. Nel post precedente abbiamo trattato la magica combinazione delle lettere “D” (Donne) e “C” (Conterie – perle), ma questa volta nel genio di Ercole Barovier e delle sue invenzioni troviamo anche uno dei problemi più tipici, drammatici, eppur affascinanti: le formule e la possibilità e il rischio di perderle.
Chi era Ercole Barovier?
Sebbene Ercole (1889-1974) rappresenti, all’epoca, con il proprio cognome, la fornace muranese con la più lunga tradizione dinastica ininterrotta (1295), la sua vocazione artistica non si paleserà prima dei 37 anni. Ercole è infatti un personaggio fuori dai ranghi. Basti pensare al fatto che egli muove i suoi primi passi alla “Vetreria Artistica Barovier&C.” (oggi Barovier e Toso) dopo un percorso di studio e professionale in campo medico. Un esordio dunque molto tardivo, ma in tempo per dare un contributo cruciale nello sviluppo di nuove tecniche e formule capaci di espandere gli orizzonti del vetro muranese del XIX secolo, in un momento di grande fervore artistico e imprenditoriale, caratterizzato da giganti come Martinuzzi, Zecchini, Scarpa, Bianconi, Borella, ecc. Ercole sarà sempre influenzato nel profondo da colori e forme delle moderne e innovative murrine prodotte nella fornace di famiglia – già note a livello internazionale grazie all’esposizione degli artisti ribelli di Ca’ Pesaro del 1913, ispireranno più tardi, nel 1972, le sue “neomurrine” – ma al contempo si afferma sullo scenario muranese come sperimentatore ardito e instancabile. La sua ricerca spazia dal liberty alla reinterpretazione del barocco e allo studio del vetro antico, dagli animali ai vasi.
Ercole Barovier era un maestro vetraio come il suo antenato Angelo Barovier?
No, Ercole era tutto all’infuori di un maestro vetraio. Oggi lo chiameremmo un “outsider”, capace di portare nuove prospettive nel solco della propria tradizione familiare. Ercole risponde a una figura di designer in linea con la filosofia tardo ottocentesca creata dall’Abate Zanetti, capace di una profonda conoscenza dei processi produttivi e delle problematiche tecniche, ma al contempo le sue intuizioni prendono forza nella continua sinergia con i maestri di sua fiducia, sempre pronti a sperimentarle. Il suo approccio al design nasce direttamente dentro la fornace in modo empirico, quasi ribaltando il processo creativo del design di oggi. I modelli di maggiore successo erano fortemente caratterizzati da un’originalità assoluta delle testure dei colori e delle decorazioni, mentre per le forme privilegiava un solido richiamo alla tradizione o un’apparente semplicità delle linee.
Quali sono i nomi delle tecniche e delle formule inventate da Ercole Barovier?
Il primo “rostrato” su vetro trasparente fu creato nel 1938, ma ancora oggi risulta essere tra le tecniche del ‘900 più famose e di maggior successo. Consiste nel tirare con le borselle (pinze) la superficie del vetro, dando come tanti pizzicotti, fino a creare un effetto che richiama il bugnato, ma a punte irregolari, di simile dimensione, con conseguenti giochi di luce che una lavorazione a stampo non consentirebbe.
La ditta Barovier&Toso tutt’oggi produce, tra i grandi classici, una lampada in rostrato di nome “Ercole”.
Negli anni ’30 Ercole fece un grande uso di tecniche di colorazione a caldo senza fusione, un metodo particolare di aggiunta del colore, che consisteva nell’inserire tra due lastre di vetro trasparente determinate sostanze chimiche in grado di reagire e generare strabilianti effetti cromatici. Un altro grande successo furono i “rugiadosi” del 1940: il richiamo poetico alle iridescenze della rugiada invernale è dato dall’inserimento di micro frammenti di vetro trasparente nella massa di vetro principale. Tra le tante tecniche e formule si ricorda il vetro “Primavera”, scoperto per caso. Si tratta di un vetro bianco latte semi trasparente con uno speciale effetto craquelé.
Esiste una produzione contemporanea di “vetro primavera”?
Sfortunatamente no. La formula, scoperta per caso, venne quasi subito perduta. Gli ultimi oggetti sono un unicum risalente alla Biennale del 1930. Eppure questa storia ci dice molte cose sull’Arte in generale e sullo spirito di Murano e della sua arte, che ai tempi dell’antenato Angelo Barovier, scopritore del vetro trasparente, fu alchemica, ma che ancora oggi, nonostante la chimica e una maggiore standardizzazione dei processi, resta legata al mistero della creatività, a fattori imponderabili e all’impossibilità di replicare anche il gesto più rutinario e semplice esattamente nello stesso modo. In fondo anche la formula rinascimentale del Calcedonio (vetro a imitazione delle pietre naturali) sembrava irrimediabilmente perduta fino alla riscoperta dell’Ottocento. Chissà che un giorno non succeda lo stesso anche con il vetro primavera di Ercole Barovier.
Lorenzo Guglielmi
Altri articoli della Muranologia:
Capitolo 0: Vetro di Murano, tradizione o innovazione?
Capitolo 1: Il glossario definitivo su Murano: Lettera M
Capitolo 2: Muranologia – il primo glossario online su Murano: lettera A
Capitolo 3: Muranologia – il primo glossario on-line su Murano: lettera B
Capitolo 4: Muranologia – il primo glossario on line su murano: lettera C
Capitolo 5: Muranologia – il primo glossario on line su Murano: Lettera C e D
Capitolo 6: Muranologia – il primo glossario on line su Murano: Lettera E e F